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Jason non aveva mai subito il fascino atavico del firmamento fino all'età di diciott'anni, in quelle notti d'estate dense di lucciole e di meteore, quando tornava in macchina alla scogliera per fare l'amore con Emma. Gli sarebbe anche potuto sembrare romantico, in fondo, se fosse stato davvero innamorato, ma non lo era; non quanto lei; o almeno questo credeva.

 Così, dopo un amplesso frettoloso e distratto, se ne tornava al suo posto ed incrociava le dita dietro la nuca, pensando agli amici che si sbronzavano da qualche parte e che avrebbe voluto subito raggiungere; cullando velleità artistiche e capolavori che avrebbe voluto scrivere, dipingere, scolpire, comporre; formulando abbozzi di teorie scientifiche e sistemi filosofici rivoluzionari; sospirando al senso amaro di incompletezza che lo accompagnava sempre, anche nei momenti apparentemente più spensierati; rimuginando, infine, sull'inutile accanimento con cui su costringeva a macerarsi in tutto questo. Lo consumava, poi, il desiderio ardente di avventure folli, inenarrabili.

 Intanto, contemplava le stelle che trepidavano nel cielo immenso e profondo. A volte, nell’immutabilità delle geometrie siderali trovava pace, insieme al firmamento, anche la sua coscienza mobile e irrequieta; altre volte, invece, era come sopraffatto dalla visione di infiniti spazi aldilà del cielo e di infiniti universi che si gonfiavano come bolle di sapone col loro seguito di galassie, ammassi, superammassi, quasar, pulsar, vortici di stelle intorno a buchi neri, contorsioni di stringhe spazio-temporali, e ancora asteroidi e rocce erranti, comete, polveri interstellari, nebulose, pianeti rotanti come enormi trottole lanciati, col loro seguito di lune, nella notte dei tempi e degli spazi, intorno a un sole votato all’estinzione, verso l’inesorabile nulla fatto di gelo, di silenzio, di tenebra sconvolta. Vedeva mondi dalle atmosfere sature di vapori, dagli oceani caldi, dagli incredibili paesaggi inestricabili e misteriosi, nei quali si manifestava fra acqua, terra e cielo il brulicare della vita. Allora, provava qualcosa di simile a un religioso terrore: il medioevale timor Dei, o meglio lo sgomento di fronte alla sconfinata potenza dell’Esistente. Potenza che non è creatrice, perché tutto già esiste, tutto è già stato creato.

 In quelle strane serate alla scogliera, la volta celeste era come uno specchio concavo che rifletteva i suoi pensieri; ma, deformandoli, vi apriva inaspettate prospettive. Lo affascinava il mistero del Tempo, di cui si discorreva spesso con Emma, laureata in filosofia; forse la cosa più bella di quelle serate.