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— […] Se è vero, come tu dici, ma io non lo credo, ma ammettiamolo pure, che nelle infinite vite a nostra disposizione noi viviamo tutte le possibili varianti che si diramano da ogni istante che viviamo, se è vero che l’esistenza è una rete di cui percorriamo tutte le maglie, allora, ad esempio, in una di queste varianti, che so, tu mi uccidi, anzi, facciamo che ti uccido io, o magari ci suicidiamo entrambi, proprio qui, questa sera, di fronte all’oceano. Tuttavia ciò è impossibile, perché sono atti di cui né tu né io siamo capaci: non possiamo compierli, capisci? Non possiamo nemmeno realmente formulare la volontà di compiere tali atti. Non è nelle nostre corde. Il libero arbitrio è una chimera, e qui sono d’accordo con te, ma tu non ne trai le dovute conseguenze. Come gli arti di un pupazzo, le infinite possibili azioni dell’individuo sono collegate con un filo allo strumento che può metterle in moto e che sta in mano al burattinaio: la volontà, intendo dire. Tuttavia, in ciascun individuo alcuni di tali fili sono recisi, ogni individuo ha le sue particolari disconnessioni, e non c’è alcun modo di ristabilire i collegamenti mancanti. Questo significa che certe azioni, per ogni diverso individuo, sono impossibili: la volontà non può attivarle: la volontà non può realmente volerle. Ogni uomo può volere solo ciò che la sua natura ha voluto per lui: questo è ciò che resta del libero arbitrio: un’illusione […] Ogni azione è preceduta da un atto di volontà, che a sua volta è preceduto da una velleità. Perché vi sono velleità che restano tali, e altre che sfociano in un atto di volontà che produce un’azione? Cosa trasforma la velleità in atto di volontà e questo in azione? Le possibilità sono due: o vi è una causa, fisica o trascendente che sia, oppure non vi è alcuna causa: la prima implica che non c’è libertà, la seconda ammette la libertà, ma al prezzo della casualità, poiché ciò che è incausato è necessariamente casuale […] — così Emma.

 Non di rado le esternazioni di Emma irritavano Jason, e tanto più lo irritavano quanto più erano nette e appassionate; ma non per ciò che esprimevano (in molti casi egli era sostanzialmente d’accordo): sarebbero state ugualmente irritanti anche parole che avessero espresso, con altrettanta sicumera, un'opinione esattamente contraria. Non si trattava del contenuto delle idee, quanto del loro modo d'essere: non tollerava, Jason, non aveva mai tollerato quel genere di opinioni così ben definite, radicali, totalmente schierate da una parte o dall'altra, senza sfumature, senza incertezze, senza oscillazioni da una parte e dall'altra. Forse perché non ne era capace. Attratto da troppe cose e da tutte in eguale misura, era il tipo perennemente indeciso sulla via da seguire, non per mancanza, ma per eccesso di scelta: il socialismo gli pareva auspicabile senza però che il capitalismo gli apparisse poi così deprecabile; la vita dell'intellettuale lo stimolava quanto la vita dei sensi (puramente edonistica, totalmente epidermica) lo seduceva; riusciva ad andare d'accordo con tutti, dai mascalzoni ai preti, perché in tutti riusciva a scorgere qualche aspetto interessante; e forse, infine, nemmeno le donne lo attraevano molto di più degli uomini… Per puro spirito di contraddizione, atteggiamenti seriosi suscitavano in lui ironico distacco; atteggiamenti superficiali, invece, riflessività e serietà.

 — Dunque, non sarei capace di ucciderti, neanche se lo volessi? — si limitò a commentare Jason.
 — Assolutamente no, non tu.

 All’improvviso Jason le fu addosso e senza nemmeno darle il tempo di capire la afferrò alla gola. Dopo qualche istante che parve eterno, il cielo fu attraversato da una fiammata verde e azzurra.
 — Il Comandante… Kursk… — riuscì a sibilare Emma con l’ultimo filo di voce che le restava.

 Jason lasciò la presa, guardò in alto e la vide: non più la fiamma verde-azzurra, però quella rossastra sì: piccola ma innegabile, rapida come un battere di ciglia, debole come la fiamma di un cerino sfregato contro il cielo e spento subito da un alito di vento, quel vento che già si impadroniva delle ceneri e le disperdeva sopra le loro teste, sopra l’incrocio dei loro molteplici destini.